La camicia bianca arrotolata fino all’avambraccio lasciava intravedere l’armatura. Le incessanti lotte con il mondo avevano lasciato delle cicatrici indelebili nella sua anima. Con il passare del tempo era riuscito a dare una voce a quei dolorosi segni portandoli in superficie, a farli divenire dei veri e propri amuleti. Andava fiero delle vittorie e le esibiva con vanto. L’inchiostro indelebile sulla pelle gli permetteva di mostrare l’altra faccia di se stesso, rafforzando il pensiero che si mescolava con la voglia di riscatto dalla vita.
Le sue mani si
muovevano come quelle di un direttore d’orchestra, componendo infinite melodie
al suon di tintinnio del metallo sul metallo, bagnato dal liquido che scendeva
impetuoso e vigoroso dalle bottiglie.
Riusciva a sorridere spesso, anche quando non aveva nessun
motivo per farlo. L’eloquenza e la grazia nei modi erano le armi vincenti. Di
certo, le parole di molti non gli interessavano affatto. Staccando la mente dal
corpo allontanava la maggior parte delle storie terribili e forzate che le sue
orecchie erano violentemente costrette a recepire, riducendo così al minimo il
rischio di Burnout. Digeriva male quei pesanti bocconi: rimanevano incastrati lì,
proprio tra l’esofago e la gola, costringendolo ad ingurgitare ingenti dosi di
distillato, ottimo anticalcare per l’animo sensibile.
Solo il Gin schiariva la sua mente. D’estate lo
proponeva con fierezza esaltandolo con
cascate di acqua tonica, d’inverno lo raffreddava semplicemente per poi farlo
increspare in una coppa gelata, accarezzata da una punta di Vermouth.
Guardavano al cliente più di venti etichette, esposte sulla mensola centrale
del banco bar. Altrettante pullulavano nella cassapanca in cantina, rigorosamente
chiuse sotto chiave come un tesoro nascosto.
Il regno sorgeva imponente e silenzioso infondo al breve
corridoio bianco illuminato solamente dalla luce di una dozzina di candele
scure. Una tenda a sipario incorniciava la magia dell’ingresso. La struttura
del bancone faceva trapelare un’immensa cura per i dettagli. Sotto il piano
d’appoggio, sorgeva imponente la barra appendiabiti. Come un maggiordomo
gentile, accoglieva le pesantezze della giornata lavorativa dei clienti che freneticamente
si spogliavano dei loro pensieri, mostrando con fierezza i nodi lenti delle
cravatte vissute e non più sormontate da una giacca sudata oramai sgualcita.
Con ingenti calici di vino rosso consolava le ricche vedove
vogliose ancora di sesso che, cercando di elemosinare un brivido malizioso, si
spalmavano come polpi sugli sgabelli in pelle nera, eretti maestosamente
dinnanzi alla sua presenza. Conquistava gli amanti con la vodka al lampone
mista ad un tocco di piccante, guarnendo col basilico la vittoria pregressa di
una notte d’amore che si concretizzava al primo sorso di quella magica bevanda
erotica.
Custodiva gelosamente gli attrezzi del mestiere, come fa una
madre con un figlio. Ognuno di essi era disposto secondo un ordine logico, non
molto simile a quello che seguiva la sua mente quando recriminava la libertà
dalle catene. Sapeva dirigere lo spartito conviviale con sapiente maestria,
mentre la cascata inebriante scivolava tra i
pensieri tortuosi levigando i
macigni e trascinando con se ogni
possibile preoccupazione o negatività.
Mentre lavorava non pensava all’amore, ma lo creava...
Grazie a tutti!
Grazie a tutti!
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